“Me fabulosae Volture in Apulo nutricis extra limina Pulliae ludo fatigatumque somno fronde nova puerum palumbes texere”

Sul Vulture d’Apulia, sfuggito al controllo di Pullia, mia nutrice, e sommerso dal sonno dopo il gioco, colombe misteriose mi ricopersero, fanciullo, di frondi…

Per decenni si sono versati fiumi di inchiostro per stabilire e ricercare le origini del nome Aglianico, se derivi da ellenico piuttosto che da Elea, se Aglianico derivi dalla trasformazione delle due “l” di ellenico in “gl”come vuole la lingua spagnola (risalente al periodo della denominazione spagnola del Regno delle due Sicilie), se sia stato portato dai greci o dai fenici se sia stato piantato prima in Basilicata piuttosto che in Campania..., se ne ha parlato Orazio, oppure Plinio...

Io però vorrei rovesciare i termini della questione cioè analizzare la storia di questa denominazione da un altro punto di vista, un po’ originale, se volete.

E’ una storia che inizia ottocentomila anni fa, no, non mi sono sbagliata non volevo dire 800 o 8000, ma ottocentomila anni fa epoca a cui si fa risalire la nascita del vulcano Vulture che geologicamente appartiene al ciclo eruttivo che nel Quaternario antico ha creato i maggiori centri vulcanici dell’Italia centrale e meridionale, è rimasto attivo per circa 500 mila anni fino a 300 mila anni fa. Ebbene, che cosa sarebbe stato l’AGLIANICO se non ci fosse stato questo vulcano che con le sue millenarie eruzioni ha riservato lava nei terreni circostanti? Forse non saremmo qui a parlarne. Non è forse il Vulture (inteso come terreno ricco di minerali) che fa la differenza tra un Aglianico del Molise o della Puglia o della Campania ed uno di Barile, o di Venosa o Rionero o di altri comuni che ricadono nella zona di produzione? Non è forse il Vulture e non Aglianico che Orazio cita in un suo scritto? (libro terzo dei carmi)

Quando sottrattosi alla vigilanza della sua nutrice si ritrova da solo alle pendici del monte?

me fabulosae Volture in Apulo nutricis extra limina Pulliae ludo fatigatumque somno fronde nova puerum palumbes texere...

"Sul Vulture d'Apulia, sfuggito al controllo di Pullia, mia nutrice, e sommerso dal sonno dopo il gioco, colombe misteriose mi ricopersero, fanciullo, di frondi..."

Il monte Vulture o “la montagna nostra”, come familiarmente viene chiamato dagli abitanti del luogo deve il suo nome alla somiglianza con un rapace il “vultur” latino cioè l’avvoltoio, ma più che nel suo significato lessicale (che sarebbe un po’ negativo), mi piace immaginarlo nel suo significato allegorico, come di qualcuno che stende le sue ali protettive ad accogliere avvolgere e difendere il territorio, di giorno verde con la sua lussureggiante vegetazione sembra sorridere ed accogliere chi si avvicina ad esso e al primo calar delle tenebre scuro, cupo quasi a voler scoraggiare qualsiasi tentativo di intrusione.

Il Vulture rappresenta qualcosa di vivo, di animato che quotidianamente vigila sui vigneti le cui uve portano il suo nome, è a lui che ci si rivolge per avere notizie anche riguardo alle previsioni metereologiche che tanta parte hanno nella gestione di un vigneto, si sa infatti che se la montagna ha ”il cappello” (cioè se la cima è coperta da nuvole o nebbia) il tempo non sarà certo clemente. E’ da questo stretto rapporto quasi materno con la montagna, (non a caso viene chiamata al femminile e non monte al maschile) che da sempre i contadini hanno tratto la forza ed il coraggio di coltivare l’Aglianico vitigno forte per natura e tradizione.

Ma il nome Aglianico, per quanto oggi noto, compare per la prima volta intorno alla metà del 1500, ma attribuito più ad un vino che ad un vitigno. Il resto della storia di questo vitigno è più recente scritta anche da conterranei come il Prof. Carlucci che nato a Ruoti nel 1856 insegnava presso la scuola di viticoltura di Avellino e che nell’Ampelographie di Viala e Vermorel riporta una monografia del vitigno.

Senza dilungarci nelle innumerevoli pubblicazioni e citazioni riguardo al vitigno ed al vino Aglianico arriviamo ai giorni nostri quando a cavallo degli anni ’80 e ’90 nell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto con la collaborazione dell’Univesità della Basilicata è stata rivolta particolare attenzione alle popolazioni di questo nobile vitigno che presentavano una grande diversità di denominazioni ed erano costituite da numerosi biotipi non sempre identificati e caratterizzati.

Su diversi biotipi di Aglianico, Aglianico del Vulture ed Aglianicone reperiti in Campania e Basilicata negli anni 90 è stata condotta una lunga serie di indagini ampelografiche, ampelometriche, biochimiche e molecolari (analisi del DNA) al fine di chiarire la loro appartenenza varietale. I risultati delle analisi hanno consentito di affermare che l’Aglianico diffuso in Campania e L’Aglianico del Vulture sono da considerarsi un unico vitigno. Vi sono sì alcune differenze tra i diversi biotipi, ma rientrano nell’ambito della varietà intravarietale. L’Aglianicone ha dimostrato di essere un vitigno diverso sotto tutti i profili esaminati, per cui è da ritenersi un Ciliegiolo

Attualmente sono stati omologati 8 cloni di Aglianico “Taurasi” e 2 di “Aglianico del Vulture” dai Vivai Coop. Rauscedo. I due cloni di Aglianico del Vulture sono VCR 11 E VCR 14...e la storia continua grazie anche alla tenacia e caparbietà di alcuni produttori della zona che hanno creduto e scommesso su questo vitigno anche prima del 1971 data che segna l’inizio di una nuova storia per l’Aglianico del Vulture e cioè l’attribuzione della Denominazione di origine controllata. Alla luce di questa attribuzione il vino Aglianico del Vulture assume la sua giusta e meritata dignità, viene annoverato tra i vini nobili e da molti viene definito il Barolo del Sud anche se a noi piace dire che il Barolo è l’Aglianico del nord.

Dopo questo lungo viaggio durato circa ottocentomila anni... arriviamo ai giorni nostri. L’Aglianico è diventato ormai un vitigno piantato in tutto il mondo ed il vino Aglianico del Vulture comincia ad essere conosciuto ed apprezzato anche in zone dove fino a poco tempo fa hanno fatto da padrone solo Chianti, Barolo, Pinot Grigio, mi piace ricordare le parole di un produttore della zona ”l’Aglianico parla da solo, non è necessario parlare di esso”

Attualmente gli ettari vitati a DOC Aglianico sono 1.058 e gli imbottigliatori 53. Ci sono tutte le condizioni a che la storia di questa DOC continui augurandoci che tutto avvenga con spirito di collaborazione ed in una forma e strutturazione diversa.


Filomena Ruppi

Tratto dalla relazione tenuta in occasione del conferimento del titolo di ACCADEMICO AGGREGATO DEI GEORGOFILI
Rionero in Vulture, 5 Settembre 2008